Questo sguardo è di un testimone. Che cosa ha visto? Una guerra? Una strage? È sopravvissuto? È una vittima o un carnefice? Racconta…
Era il 1939, le leggi razziali erano state promulgate da poco e noi ebrei eravamo sempre meno accetti.
“Prima o poi toccherà a noi” continuavo a dire ai miei figli vedendo che i nostri vicini sparivano e non tornavano più. “Quando ci deporteranno nei campi di concentramento l’unica cosa che dovete fare è non arrendervi: continuate a lottare perché la guerra finirà presto e qualcuno verrà a salvarci”.
“Va bene, papà”. Risposero in coro i miei due figli, Sandro e Jenna, le persone più importanti della mia vita; la loro madre era morta in un incidente qualche anno prima e loro erano appena riusciti a superare il lutto quando era scoppiata la guerra. Sono solo dei bambini: dovrebbero giocare al parco con i loro amici invece che rimanere qui chiusi in casa temendo il peggio e aspettando che questa dannata guerra finisca!
I giorni passavano lenti, in attesa del fatidico momento in cui ci avrebbero chiamati.
“Sono arrivati! Ragazzi svegliatevi! I soldati sono qui!”. I tedeschi erano arrivati nel cuore della notte, ci svegliarono e ci fecero preparare una valigia per partire. Non eravamo gli unici, altre persone del ghetto erano state svegliate.
Siamo stati portati su un treno, ogni vagone era pieno di persone, i bambini piangevano e i genitori cercavano di consolarli. Sandro e Jenna, invece, non piangevano, erano ragazzi forti e avevano pianto troppo per la morte della loro madre.
Dopo lunghe ore di viaggio passate a fare promesse che non avrei mai potuto rispettare, arrivammo al campo di smistamento: era molto grande e pieno di persone. Rimanemmo lì per qualche giorno vedendo treni che andavano e venivano e persone che partivano e arrivavano.
Alla fine mi chiamarono e, non sentendo anche il nome dei miei figli, mi venne un colpo: pensavo che ci avrebbero messi insieme in quanto parenti. Mentre abbracciavo i miei figli mi misi a piangere. Dissi loro le stesse cose dell’ultima volta, poi i soldati mi staccarono di forza da loro e mi misero su un treno.
Per tutto il viaggio pensai a loro, a quanto erano impauriti e soli e a quanto volevo tornare da loro. Durante il viaggio nessuno parlò, tutti pensavano alle persone che avrebbero o avevano perso.
Appena arrivati a destinazione, i soldati tedeschi ci fecero vedere le baracche dove avremmo dormito e il luogo dove avremmo lavorato. I primi giorni furono durissimi: lavoro terribile e lungo, cibo schifoso e appena sufficiente per resistere una giornata.
Dopo qualche giorno conobbi Kristoff, un ragazzo molto simpatico, la sua vitalità era molto utile perché non ci faceva pensare a ciò che ci stava succedendo.
Passavano i mesi e aumentò la nostalgia per i miei figli: non avevo più notizie loro dall’ultima volta che ci eravamo visti. Arrivarono molte persone e molte altre morirono di stenti, di fame o uccise dai soldati tedeschi.
“Speriamo che stiano bene” pensavo in ogni momento. Era trascorso molto tempo, troppo, dall’ultima volta che li avevo visti, che li avevo abbracciati e la guerra non era ancora finita.
Era il gennaio 1945, la guerra non doveva aver preso una bella piega perché i soldati tedeschi erano sempre più irrequieti e bastava un nonnulla per farli arrabbiare. Io stavo male, terribilmente male e i tedeschi mi portarono in infermeria, rimasi lì per quasi una settimana. In quella settimana i tedeschi partirono e si portarono dietro gli ebrei in salute, molto probabilmente stava arrivando qualcuno, ma chi?
Erano quasi tre giorni che non mangiavo quando finalmente i cancelli si spalancarono e entrarono dei soldati, ma sentendoli parlare capii che non erano tedeschi: erano russi. Erano venuti a salvarci!
Cercai di fare un po’ di rumore per farmi trovare da loro e infatti mi videro e mi misero su un treno insieme ai pochi altri che erano sopravvissuti. Eravamo una trentina, ci diedero da mangiare e da bere poi partimmo verso la libertà.
Eravamo tutti testimoni, testimoni di ciò che i tedeschi ci avevano fatto, testimoni di una strage di persone innocenti, torturate per divertimento e eliminate nelle docce a gas.
Ma ciò che ci hanno fatto non verrà dimenticato, lo scriveremo nei libri di storia e tutti potranno sapere ciò che ci hanno fatto.
[Federico Maule IIIC]