L’infanzia non è né assenza di pensiero né di linguaggio.
Dai 18 mesi ai 9 anni (circa) i bambini sono immersi nella creazione di mondi possibili, di universi immaginari.
Parafrasando Paul Harris, possiamo affermare che ciò a cui la natura lascia così tanto tempo deve avere importanza.
Nessuna paura della fantasticheria dei bambini, dunque, ma riconoscimento dell’immaginazione come capacità tipicamente umana.
Tuttavia chiunque abbia a che fare con i bambini oggi non può non constatare una deprivazione esperienziale e una riduzione del gioco simbolico: i bambini giocano sempre meno “a far finta”. I bambini sembrano divisi tra chi sa ancora giocare fingendo che un manico di scopa sia un cavallo e e chi si accontenta di ciò che c’è, di ciò che ha di fronte.
Ecco, dunque,l’importanza di una pratica educativa come quella di Filosofia Coi Bambini. Essa, rivolta a bambini dai quattro ai dieci anni d’età, non si pone come obiettivo la trasmissione di una qualche nozione (sia essa filosofica, storica o scientifica) né la produzione di uno specifico contenuto, bensì l’allenamento di specifiche abilità mentali in grado di produrre pensiero e fare scoperte (idee, parole, concetti, sentimenti, emozioni).
L’attività che si svolge coi bambini consiste nel pensare in assenza, nel parlare di cose non presenti, che già si sono verificate o che ancora devono accadere, e soprattutto che sarebbero potute o potrebbero andare diversamente.
L’immaginazione ha a che fare con il linguaggio in un modo del tutto particolare e nell’ottica di una filosofia che non offre risposte ma che si pone come metodo, come atteggiamento, si gioca con le parole recandosi infiniti mondi possibili in un continuo rimando tra immaginazione e realtà.
Ester Galli