Sulla base di quanto visto e “provato” durante la visita della sezione Memoria e Migrazioni del Museo del Mare Galata di Genova gli alunni della IIIB hanno immaginato di raccontare il viaggio di Anna Sciacchitano, partita da Palermo e arrivata ad Ellis Island con i suoi tre figli.
Oh marito mio, sono così felice di rivederti, dopo tanti anni di lontananza e di sapere che la mia famiglia sarà di nuovo riunita, per sempre, nelle gioie e nelle disgrazie! E non hai idea della contentezza che provo al pensiero che io e i nostri figli potremo ancora contare su di te, soprattutto in seguito a tante tribolazioni.
Ah, non puoi immaginare le difficoltà che abbiamo dovuto subire durante il viaggio! La peggior cosa della mia vita! Penso che, dopo questo treno, non mi allontanerò più da casa se non per andare al mercato. Per esempio, già la notte prima di partire abbiamo addirittura dovuto dormire per strada, a Palermo! Fortuna che non pioveva. E la mattina dopo, figurarsi un po’, il bigliettaio era l’uomo più antipatico che avessi mai conosciuto; pensa che, quando mi sono messa a protestare perché non volevo che Paolo andasse nel dormitorio dei maschi senza nessuno a proteggerlo, lui mi ha cacciata via come fossi un gattaccio “spelato”. Ma è naturale, no? Come fa una madre a lasciare solo il proprio bambino in mezzo a sconosciuti?
Comunque dopo un po’ ci imbarcammo e io, che prima d’ora non ero mai salita su di una nave, stetti subito male per il continuo dondolio tanto da voler ritornare immediatamente a casa. Ma il pensiero che presto ci saremmo incontrati mi fece forza e, dopo aver salutato il povero Paolo, mi diressi verso il dormitorio femminile con Domenico e Maria. Devo dire che non era malissimo, nonostante tutto, malgrado il letto fosse veramente troppo stretto; ma almeno potevo lavare i pannolini, altrimenti non saprei dire cos’avrei fatto.
Prima di partire, però, dovemmo aspettare molto, perché tanti altri dovevano ancora salire e il mio mal di mare, che nel frattempo s’era un po’ chetato, appena la nave si mise in moto, subito tornò, facendomi quasi credere che sarei morta di lì a poco.
Ma alla fine non successe nulla di male e il viaggio proseguì tranquillo per diversi giorni, anche se ogni momento i miei pensieri andavano al mio povero bambino e mi chiedevo se non gli fosse capitato qualche cosa di male.
Queste, però, non erano che paranoie in confronto al panico che provai quando il piccolo Domenico di ammalò di tubercolosi: non puoi immaginare ciò che mi fece fare la paura di perderlo. Non mi reggevo in piedi dalla stanchezza, mi sentivo gli occhi arrossati, la testa mi girava in un modo terribile e spessissimo le palpebre mi si chiudevano senza che quasi me ne accorgessi. Pensavo davvero che questo viaggio sarebbe stato la sua fine! Lui tossiva, tossiva in continuazione, e ogni volta gli usciva del sangue dalla bocca; una cosa orribile! E non oso nemmeno immaginare quel che deve aver sofferto il mio piccolo; ma piano piano migliorò, e adesso, come vedi, è in ottima salute. E devo anche dire che Maria mi ha aiutata parecchio prendendosi cura di Domenico. È proprio una brava bambina.
Dopo di che trascorse tutto tranquillamente per circa una settimana e ci voleva proprio, dopo tutta quella paura e quella stanchezza. Ma poi, un giorno, un uomo arrivò di corsa, tutto affannato, dicendo che nella stiva era scoppiato un incendio; e infatti, poco dopo, si sentì un forte odore di fumo, e io temetti che la nave sarebbe affondata, e poi provai una sensazione orribile, come di topo in gabbia, non potevo scappare, era terribile! Però, alla fine, riuscirono a spegnerlo e per me fu un tale sollievo! E questo fu il secondo episodio che speravo di evitare.
Ormai, comunque, mancavano solo quattro giorni e io credevo che non sarebbe accaduto più niente; e invece, all’improvviso, delle grandi nuvole nere raggiunsero il piroscafo e i lampi illuminavano a giorno il cielo scuro, mentre la nave ci sballottava in maniera insopportabile. Io sentivo come se gli organi della pancia venissero tutti rimescolati al suo interno e avevo paura che la nave colasse a picco; i bambini, stretti a me, piangevano dal terrore, e io non facevo che pregare per il povero Paolo. Questo durò circa per tutta la notte, una cosa veramente terribile e naturalmente nessuno riuscì a dormire; ma il peggio di tutto era la consapevolezza che, da un momento all’altro, l’imbarcazione sarebbe potuta affondare trascinandoci giù, negli abissi dell’oceano! Invece, la mattina dopo, tutto era calmo come se nulla fosse successo. Purtroppo, però, la tempesta ci aveva mandato un po’ fuori rotta e così ci annunciarono che mancavano ancora tre giorni all’arrivo. A me in realtà parve molto meno e, prima ancora che me ne accorgessi, si poteva già intravvedere la terra; e non ti dico la gioia che provai nel guardare quella grande statua che mi avevi descritto o la meraviglia nel vedere gli altissimi palazzi che qui sono così numerosi! Però non era ancora finita, perché in quel luogo chiamato Ellis Island mi chiesero un sacco di cose che io a malapena capivo poi ci sottoposero a un noioso controllo medico; e infine, come se tutto ciò non fosse bastato, scoprimmo che ci avevano addirittura perso alcuni dei bagagli! E di questo mi dispiace davvero molto, perché dentro vi erano alcuni oggetti di valore. Ma non si piange sul latte versato, e io spero solo che, d’ora in poi, la nostra vita sia migliore.
[Sabina Aroldi Rho IIIB]
Anna Sciacchitano. Dialogo con il marito.
A Ellis Island
Giovanni: “Sono qui!»
Anna: “Finalmente ci riabbracciamo di nuovo! Voglio raccontarti tutto del viaggio…”
Giovanni: “Non ora, dobbiamo prendere il treno!”
Sul treno
Anna: “Adesso che ci siamo seduti posso raccontarti sto benedetto viaggio sul piroscafo”?”
Giovanni: “Vai, racconta”.
Anna: “Ci siamo imbarcati “su ‘sto piroscafo” chiamato “Regina d’Italia” o una “roba” del genere, dopo che ci hai inviato la rimessa destinata ai biglietti, ad aprile.
Dopo che Paolo ha scritto il nostro nome sulla valigia di cartone, l’unica che abbiamo ritrovato, non l’ho più potuto abbracciare perché, avendo più di sette anni, doveva dormire da solo con gli uomini.
Nonostante potessi rivederlo sul pontile, le donne e gli uomini erano separati e inoltre incontrarsi in tutta quella folla era molto difficile.
I dormitori erano formati da brandine l’una “affianco” all’altra, così mi sono trovata a dormire con Maria e Domenico addosso, mentre di lato avevo una sconosciuta con i suoi figli.
I “gabinetti” consistevano in un vaso da svuotare in mare e in una tinozza con un po’d’acqua dentro.
Ho dovuto stendere i miei panni sulla testata del letto e non hai idea dell’umidità che lasciavano nell’aria! Con il caldo era una cosa insopportabile.
La mensa era bene organizzata anche per noi di terza classe: c’erano i camerieri con il “vestito bello” che venivano da noi, povera gente, e ci chiedevano cosa volevamo mangiare con bei modi da gentiluomini, “tantoché” ci facevano sentire dei ricchi. Il cibo era abbastanza buono e abbondante in confronto alle nostre solite porzioni da fame.
Il viaggio è durato più o meno un mese. Abbiamo visto New York per la prima volta il “mattino” del 16 maggio 1908.
Arrivati su un’isola chiamata “Ellis Island”, c’erano tanti ispettori, dottori, oculisti e “medici dei matti” che ci toccavano, strizzavano e “ci ribaltavano come calzini” per vedere se eravamo malati oppure se durante il viaggio eravamo diventati matti.
Nonostante io “avevo” paura di non superare i controlli, sono passata lo stesso.
Quando, però, ho dovuto dire il mio cognome all’ultimo ispettore, quello più importante, con il registro grande in mano, lui non capiva e ha trasformato il mio cognome da Gustozzo a Justave.
I problemi di questa stressante avventura non erano destinati a finire qui: al momento di prendere i bagagli, abbiamo ritrovato solo la valigia di cui ti parlavo all’inizio, quella su cui Paolo aveva scritto il nostro cognome, e, mentre cercavamo, un americano che si dilettava a scattare foto, ce ne ha fatta una. Eccola:
In Pennsylvania.
Anna: ”Così si è concluso il mio primo e ultimo viaggio. Eh sì, non sono più tornata in Italia e non mi sono mai mossa dalla Pennsylvania, dove mio marito ha trovato lavoro. I viaggi mi spaventano perché ho ancora paura di perdere i miei bagagli.”
[Maria Paola Monti IIIB]
Siamo partiti verso Palermo con un gruppo di amici.
Il viaggio è durato quasi un giorno, i bambini sembravano felici perché era la prima volta che vedevano un posto al di fuori del piccolo paesino di Santa Margherita. Siamo arrivati a destinazione un giorno prima del piroscafo, i soldi che avevamo bastavano solo per i biglietti così abbiamo dormito su una panchina del porto.
Mi sono svegliata sentendo il rumore del piroscafo che attraccava, c’erano tantissime persone in fila, che aspettavano il loro turno per salire sull’imbarcazione. Ho svegliato i bambini in fretta e ci siamo messi in coda.
Dopo essere saliti, il controllore ci ha diviso: Paolo è andato nel dormitorio maschile, Maria e Domenico sono rimasti con me nel dormitorio femminile. Il mio dormitorio era molto grande e buio, con un centinaio di letti a castello, tutti vicini; il mio letto era il numero 19, abbastanza grande per contenere me, Maria e Domenico. I servizi erano composti da venti secchi e quaranta lavandini.
Il piroscafo aveva a disposizione quattro mense, due per i passeggeri di terza classe e due per i passeggeri di prima e seconda classe. La prima cena è stata magnifica: c’erano frutta e verdura fresche, carne e pesce, però mi mancava Paolo! Sai, la mensa femminile era divisa da quella maschile, e così non potevo vederlo.
Finita la cena siamo tornati in cabina, ci siamo stesi sul letto e abbiamo dormito un sonno profondo, ma mi sono svegliata nel cuore della notte perché sentivo qualcosa che mi grattava la gamba, era una mano. Mi sono sollevata dal letto e ho sorpreso un’araba che cercava di rubarmi qualche vestito. Non ci ho più visto, le ho tirato un calcio sulla mano, lei ha lasciato la presa e si è allontanata. Da quella notte ho sempre nascosto le nostre cose tra me e i bambini.
Il viaggio è stato molto lungo e orribile perché, tranne un giorno di sole, c’è sempre stato il mare mosso con piogge torrenziali.
Il clima burrascoso si è riversato sull’umore e l’atteggiamento dei camerieri, che ci guardavano male, con odio, arrivando a sputare nel piatto di alcuni passeggeri, forse solo per il semplice motivo che eravamo passeggeri di terza classe o “steerage passengers “, come ci chiamano in America.
Nel dormitorio c’era un oblò rotto, ci passava perfino un corpo; a causa di ciò vi è stata un’epidemia di morbillo. Ho tenuto Maria e Domenico nel letto per due giorni, perché avevo troppa paura che si potessero ammalare e non potessimo passare il confine americano.
Durante il viaggio sono morti quaranta bambini: le cure erano destinate unicamente ai passeggeri di prima e seconda classe. I controllori avevano gettato quei piccoli corpicini in mare, come se nulla fosse. Loro non facevano altro che ridere dicendo che i passeggeri di terza classe non hanno diritto a niente, possono solo cercare di restare in vita durante la traversata.
Il giorno prima che attraccassimo in America, ci hanno fatto fare una visita medica e hanno controllato tutti i dormitori. Questo è stato il mio viaggio, caro, e spero proprio che il posto dove tu ci stai portando sia meglio dell’inferno che abbiamo passato io e i bambini.
[Martina Navoni IIIB]
Ad aprile siamo andati a Palermo e ci siamo messi in viaggio. Siamo saliti sul piroscafo, che mi sembra si chiamasse Regina d’Italia, e c’era tantissima gente. Per poter partire dovevamo avere il passaporto e il biglietto.
Purtroppo prima di partire ho saputo che Paolo doveva stare nel dormitorio dei maschi e non con me. Ero un po’ preoccupata e per tutto il viaggio non ho saputo niente di lui, ma alla fine è andato tutto bene.
Il piroscafo era suddiviso in tre piani, noi eravamo al primo dove era sistemata la terza classe. Per ogni stanza c’erano moltissimi letti ed erano tutti attaccati. Prima di salire ci hanno dato le lenzuola ma da quel momento non le abbiamo più lavate. Per i servizi avevamo dei secchi e spesso si faceva fatica a respirare. In molti si sono ammalati e alcuni sono anche morti e sono stati gettati in mare. Nella mia stanza si sono ammalate due mamme e due bambini più la nostra piccola Maria. Per fortuna Maria si è ammalata alla fine del viaggio e a Ellis Island l’hanno potuta curare: non era niente di grave.
Da mangiare ci davano porzioni per uno e le dovevamo dividere per tre: era davvero poco. In molti soffrivano di mal di mare e quindi vomitavano.
Siamo arrivati a New York la mattina del 16 maggio. Come ti ho già detto, ci siamo fermati a Ellis Island dove c’erano tantissimi dottori, ispettori, oculisti e medici dei matti e tutti a toccarci, guardarci e spingerci.
L’ultimo era quello più importante di tutti, era seduto dietro ad un banchetto e aveva un grande registro. Mi chiedeva il nome e io glielo dicevo ma non capiva e quindi adesso mi chiamo Anna Justave e non più Gustozzo. Per fortuna ci hanno ammesso ma non era ancora finita perché dovevamo ritrovare i bagagli. Come hai potuto vedere, abbiamo ritrovato solo quello su cui Paolo aveva scritto il nome, gli altri sono andati perduti.
[Matteo Sanvito IIIB]
Ciao Giovanni caro, sono riuscita ad arrivare qui sana e salva con i nostri figli.
È stato molto faticoso, molte malattie, molte risse e poca igiene.
Abbiamo perso alcuni bagagli perché Paolo era riuscito a mettere il nome solo su una valigia. Però per farti passare la rabbia ti voglio raccontare cosa è successo….
Appena siamo arrivati a Palermo, ci hanno subito insultato ed emarginato: gli abitanti urlavano dai balconi, avevano disprezzo a parlarci. Pure il bigliettaio era “stufo” di vedere così tanti stranieri desiderosi di un posto in nave per arrivare fin qui.
Con i soldi che ci hai mandato siamo riusciti a permetterci quattro biglietti per la terza classe: il nostro Paolo è stato mandato nel dormitorio maschile, mentre Maria e Domenico sono rimasti con me.
Nei primi giorni nessuno parlava con nessuno, solo i nostri bambini sono riusciti a fare amicizia con una bambina con il posto letto vicino al nostro: mi sembra si chiamasse Adalgisa, ha due anni in più della nostra piccola.
A me, lei e sua madre non piacevano molto perché erano del Nord, ma, vedendo come si comportavano con noi, ho deciso di conoscerla: lei è una casalinga e il marito era appena stato licenziato dalla fabbrica dove era dipendente.
Avevano deciso di mettere da parte i soldi che avevano per pagare il biglietto al padrone di casa, nella speranza che potesse trovare un lavoro e una casa.
Dopo circa due settimane di viaggio, a seguito di qualche occhiataccia, c’è stata una rissa tra due omaccioni.
A dormire, Paolo, era proprio vicino a loro!
Sono andati avanti per qualche giorno, quando le guardie li hanno portati nelle celle.
Ci siamo pure beccati una sgridata; Domenico ha perso il piatto che gli hanno dato prima di partire e così abbiamo dovuto dividerci il pasto.
Ma le disgrazie non sono finite qui: un marinaio ”deficiente” ha fatto cadere la pipa per terra e la nave è andata a fuoco: per spegnere l’incendio abbiamo quasi finito la riserva d’acqua che avevamo e da quel momento l’acqua era diventata a pagamento.
Per fortuna che avevo portato con me qualche soldo.
Per colpa di questo evento, inoltre, sono aumentati i furti; gente che moriva di sete, gente che voleva aumentare il proprio patrimonio per l’arrivo a Ellis Island.
Credo che sia stato il viaggio più difficile della mia vita!
In compenso c’era un buon cibo.
[Alessandro Civati IIIB]